Continua la serie di podcast che racconta la ricerca interdisciplinare del Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell'Università di Siena. Nella terza puntata di DisPod che qui vi presentiamo parleremo di "Multilinguismo: cosa succede nel cervello di chi parla più lingue?". Lo faremo con Adriana Belletti, Vincenzo Moscati e Nicoletta Biondo.
Per ascoltare la puntata su spreaker.com: https://www.spreaker.com/episode/45639808
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Il significato di multilinguismo non è così scontato e nel tempo si è assistito a un cambiamento di prospettiva nella sua definizione.
Bloomfield nel 1933 definiva un multilingue come un parlante che ha un controllo nativo sulle lingue che parla, ovvero che sa usare come madrelingua tutte le lingue che ha appreso, come se fosse la somma di più parlanti monolingue.
Oggi, con multilinguismo si fa spesso più in generale riferimento alla competenza, seppur imperfetta, che gli individui hanno di diverse lingue. Il parlante multilingue è quindi colui che sa usare più lingue in contesti diversi, anche se non altrettanto bene come un madrelingua.
Infatti può essere definito come multilingue non solo chi ha una competenza bilanciata in due o più lingue, ma anche chi ha una lingua dominante fra le lingue che conosce, ovvero usa più una lingua rispetto a un’altra. È poi multilingue non solo chi è esposto a più lingue fin dalla nascita, ma anche chi impara una seconda o una terza lingua da adulto.
Nonostante il parlare più lingue sia oggi una competenza ambita, non sempre è stato considerato un fattore positivo. Tra il 1920 e il 1960 si parlava da un lato di effetti negativi del multilinguismo, sostenendo che parlare più di una lingua comportasse un ritardo nello sviluppo cognitivo, e dall’altro di effetti neutri, ovvero si credeva che non ci fosse nessuna differenza tra parlante monolingue e multilingue. Ma dal 1962 con la ricerca di Peal & Lambert e con studi più recenti sempre più viene dimostrato che essere multilingue comporta notevoli vantaggi cognitivi.
Nella terza puntata podcast di DisPod, dedicata alla palestra interdisciplinare “Multilinguismo”, cercheremo di capire in cosa consistono questi vantaggi cognitivi, e cosa succeda nel cervello di chi parla più lingue.
Recentemente il cervello multilingue è diventato oggetto di studio della psicolinguistica e della neurolinguistica, due discipline che studiano come il nostro cervello elabora il linguaggio e quali aree cerebrali sono coinvolte nell’elaborazione linguistica.
Dai risultati degli studi cognitivi sappiamo che il cervello è fatto per essere multilingue: cioè è perfettamente in grado di gestire più lingue fin dalla nascita. Il cervello nei primi anni della crescita è molto ricettivo verso il linguaggio: infatti i bambini riescono a imparare qualsiasi lingua e più lingue senza il minimo sforzo. I bambini multilingue, poi, sono più interessati alla struttura del linguaggio e sviluppano una maggiore abilità nel distinguere forma e significato delle parole: intuiscono che un significato può avere forme diverse in lingue diverse. Ma oltre a sviluppare una maggiore consapevolezza metalinguistica, il multilinguismo comporta vantaggi connessi anche ad aspetti generali della cognizione, come il controllo esecutivo sui meccanismi dell’attenzione, ovvero la capacità del cervello di regolare l’attenzione nei task cognitivi.
Perché? Si pensa che le lingue in un cervello multilingue siano sempre e contemporaneamente attive; i parlanti però non possono parlarne due contemporaneamente e quindi il cervello sviluppa un meccanismo di inibizione che consente di inibire una lingua quando si parla l’altra.
Questo meccanismo di controllo si rifletterebbe anche in attività che richiedono attenzione e soprattutto nel passaggio di un compito a un altro, in cui i multilingue sono più abili dei monolingue. E poi, ultimo ma non meno importante, sembra che il multilinguismo funzioni quasi da scudo contro il declino cognitivo. Il cervello ha un magazzino da cui attinge le risorse necessarie per fronteggiare la minaccia dell’avanzare del tempo, che si chiama riserva cognitiva. Questa riserva viene sfruttata dal cervello nei casi di danni cerebrali ma anche nel caso, ad esempio, della demenza senile. Bialystock e colleghi nel 2007 hanno dimostrato che nei pazienti multilingue i sintomi della demenza sono comparsi 4 anni più tardi rispetto a nei pazienti monolingue.
Restano però aperte ancora molte domande su come si sviluppino le lingue, e soprattutto la competenza sintattica, ovvero la capacità di combinare le parole per costruire delle frasi, nei parlanti multilingue. Il cervello multilingue è in grado di acquisire contemporaneamente due o più sistemi grammaticali diversi? I due sistemi si sviluppano indipendentemente l’uno dall’altro o interagiscono l’uno con l’altro?
Su queste e molte altre domande si stanno “allenando” i linguisti cognitivi della palestra sul Multilinguismo del DISPOC con le ricerche finanziate dal progetto di eccellenza 2018-2022; nella terza puntata di DisPod, il podcast dedicato alla divulgazione di queste ricerche, ne parleremo con Adriana Belletti, Vincenzo Moscati e Nicoletta Biondo. Buon ascolto!
Per ascoltare la puntata su spreaker.com: https://www.spreaker.com/episode/45639808
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